tag:blogger.com,1999:blog-57771223132367021982024-02-19T02:43:50.256+01:00cinemasemaCritica e analisi di film recenti e meno recentiLucianohttp://www.blogger.com/profile/05281484351080932004noreply@blogger.comBlogger290110tag:blogger.com,1999:blog-5777122313236702198.post-10185955096818542632015-06-03T22:29:00.000+02:002015-06-03T22:30:04.114+02:00La peau de chagrin (Honoré de Balzac, 1831): 5/5 Il sapere (savoir) comprende il vedere (voir)<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhdolvCYwuggMPFxEWZOukVEYpdwyZvsj2VmWxyI0mtTFHGEhSonywiN-iiMRxg5yMeuURBWY3kg6afZlrFpOxLnIr3qP_gsjgoD2xdZ-OTIVxtI5ViwFN5YK8Zxw3wMxPjiYjO6pO7cIwR/s1600/pELLE+DI+zIGRINOh.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="180" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhdolvCYwuggMPFxEWZOukVEYpdwyZvsj2VmWxyI0mtTFHGEhSonywiN-iiMRxg5yMeuURBWY3kg6afZlrFpOxLnIr3qP_gsjgoD2xdZ-OTIVxtI5ViwFN5YK8Zxw3wMxPjiYjO6pO7cIwR/s320/pELLE+DI+zIGRINOh.jpg" width="320" /></a></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 12pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Quando l’antiquario prospetta a Raphaël la scelta tra Volontà
e Conoscenza, tra il talismano e il quadro di Raffaello, non fa alto che
proporre due tipi differenti di vita nell’eccesso: il Volere che brucia (e
anche il Potere che consuma) contrapposto al Sapere che lascia l’organismo in
un perpetuo stato di calma. Eppure, dice l’antiquario, il sapere è godere
intuendo; di un possesso materiale rimane soltanto un’idea, mentre con la
conoscenza è possibile imprimere tutte le realtà nel pensiero. «L’eccesso,
dunque – dice Peter Brooks – è necessario per accedere all’essenza e alla verità,
a quanto viene tenuto nascosto dal sipario che gli uomini comunemente chiamano
‘realtà’». Bisogna dunque mettere alla luce i macchinari che stanno dietro le
quinte, che permettono la rappresentazione del dramma. Non è sufficiente
fermarsi agli “effetti del reale”, ma bisogna trovare «[…] le cause, e con esse
i principi che le sottintendono, quei principi che costituiranno […] il
soggetto degli <i>Etudes philosophiques </i>di
Balzac». Questo spiega l’insistenza di Balzac per le descrizioni dei
particolari, il suo calcare sui gesti, sulle spiegazioni, i suoi continui
interventi d’autore, gli effetti di realtà, le metafore. Bisogna scavare sotto
l’apparenza del reale, anche se la vista di cosa si cela sotto può portare
all’afasia, all’incapacità di “mostrare” ciò che si è scoperto. La realtà
stessa è una débauche, è frammentaria e caotica, perché non c’è più un Ordine
regolatore. Si è frantumata e relativizzata; il potere della monarchia Assoluta
è stato sostituito da altri poteri e ciò che conta è la ricerca del consenso.
Adesso tutto si fa più complicato. La polverizzazione del reale rischia di
decontestualizzare tutte le certezze e le sicurezze dell’uomo del XIX secolo.
Come gli oggetti della bottega dell’antiquario (che non sono “effetti di
realtà”, ma puro significato decontestualizzato) sono testimoni di un
naufragio, pezzi di un mondo che rimangono dopo il naufragio della rivoluzione
francese, come i discorsi dei commensali del festino sono anch’essi frantumati,
esempi del caos incombente,così la realtà rischia di perdere la sua identità,
di diventare incomprensibile e irrappresentabile. Compito del poeta è di «[…]
pervenire ad una rappresentazione significativa », di cercare di fare ordine,
di produrre il senso, senza ricercare il puro significato (ciò produrrebbe
l’incapacità dell’espressione artistica e il naufragio continuerebbe
all’infinito), bensì lavorando sul piano della «rappresentazione e
dell’articolazione del linguaggio» (1).<o:p></o:p></span></div>
<br />
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 10.0pt;">1 Peter Brooks, <i>L’immaginazione melodrammatica</i>, Pratiche Editrice, p. 166<o:p></o:p></span></div>
</div>
Lucianohttp://www.blogger.com/profile/05281484351080932004noreply@blogger.com4tag:blogger.com,1999:blog-5777122313236702198.post-76884912220981347682015-05-30T09:13:00.000+02:002015-05-30T09:13:13.498+02:00La peau de chagrin (Honoré de Balzac, 1831): 4/5 Il melodramma: due esempi<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgoyXSOTiwMb05MTTx78KpR-mz32UGMHk-cOBuj4_ub6Kby0_MiIG8_Rg6GZKvm5sR3ZB9icdPUUEAl25ufYcFReXq9xlK3Q8GE3fdaDeHgLcpCY57yuhjyPEisr1hUu92QCKqFitMbNePS/s1600/La+peau+de+chagrin.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgoyXSOTiwMb05MTTx78KpR-mz32UGMHk-cOBuj4_ub6Kby0_MiIG8_Rg6GZKvm5sR3ZB9icdPUUEAl25ufYcFReXq9xlK3Q8GE3fdaDeHgLcpCY57yuhjyPEisr1hUu92QCKqFitMbNePS/s1600/La+peau+de+chagrin.jpg" /></a></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 12pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">I nuclei melodrammatici del romanzo non sono pochi. Ne ho
scelti un paio dove entrano in campo le
due donne della storia: Fœdora e Pauline. La scena con Fœdora è quella della
rivelazione. Raphaël confessa il suo amore a la sua miseria e Fœdora piange
dopo essere venuta a conoscenza di tutti i sacrifici di Raphaël. Per vederla
non ha badato a dissipare tutti i suoi averi; ha digiunato, cercando di condurre con
difficoltà due vite parallele e il racconto di questi suoi sacrifici non è
stato «[…] la narrazione senza calore d’un amore esecrato» (1) ma
un’ispirazione dovuta all’amore che ha ripetuto «[…] il grido di un’anima
straziata [e le] preghiere d’un morente sul campo di battaglia» (2). Fœdora
reagisce al racconto di Raphaël con il pianto. È sincera? La donna ha un cuore?
Niente di tutto questo, perché il narratore chiarisce subito e senza equivoci
che<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 12pt; text-align: justify;">
<span lang="FR" style="font-size: 10.0pt; line-height: 115%; mso-ansi-language: FR;">Ses larmes étaient le fruit de
cette émotion factice achetée cent sous à la porte d’un théâtre, j’avais eu le
succès d’un bon acteur (3)<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 12pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Il dramma diviene più intenso: ci sono le lacrime finte
che non incantano Raphaël. Fœdora tenta una risposta che sembrerebbe un
tentativo di simulare una certa pietà ma Raphaël la interrompe minacciandola di
morte per l’amore che prova ancora per la donna. Le rivela di averla spiata
nella sua stessa camera. Fœdora sembra
turbata, arrossisce, ma è un attimo; gli lancia subito dopo uno sguardo
sprezzante e dice:<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 12pt; text-align: justify;">
<span lang="FR" style="font-size: 10.0pt; line-height: 115%; mso-ansi-language: FR;">Vous avez dû avoir bien froid! (4)<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 12pt; text-align: justify;">
<span lang="FR" style="font-size: 12.0pt; line-height: 115%; mso-ansi-language: FR;">E Raphaël risponde:<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 12pt; text-align: justify;">
<span lang="FR" style="font-size: 10.0pt; line-height: 115%; mso-ansi-language: FR;">Croyez-vous, madame, que votre
beauté me soit si précieuse? […] Mais j’étais ambitieux, je voulais vivre cœur
a cœur avec vous, avec vous qui n’avez pas de cœur […] </span><span style="font-size: 10.0pt; line-height: 115%;">Combien je souffre (5)<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 12pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Fœdora ribatte allegramente affermando che non apparterrà mai
a nessuno. Raphaël afferma indignato che con un tale comportamento ella si
ritroverà un giorno sola e vecchia e soffrirà mali inauditi. Il dialogo
continua su questi toni. Ormai è uno scontro aperto e le parole sono colpi di
sciabola che feriscono Raphaël (ma non Fœdora). La crudeltà della donna è
sottolineata dalle sue risate, dalla sua indifferenza. «No, non vi amo […] Mi
sento felice di essere sola […] D’altronde i bambini non mi piacciono […]
Perché non vi sentite accontentato dalla mia amicizia?» (6). Il contrasto tra le
due donne, oltre che verbale diventa anche emotivo: Fœdora continua a ridere,
mentre Raphaël piange. </span><span lang="FR" style="font-size: 12.0pt; line-height: 115%; mso-ansi-language: FR;">A un certo punto Raphaël dice:<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 12pt; text-align: justify;">
<span lang="FR" style="font-size: 10.0pt; line-height: 115%; mso-ansi-language: FR;">Je ne vous verrais plus</span><span lang="FR" style="font-size: 12.0pt; line-height: 115%; mso-ansi-language: FR;"> (7)<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 12pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">E lei :<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 12pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 10.0pt; line-height: 115%;">Je l’espère</span><span style="font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"> (8)<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 12pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Altra scena piena di pathos. Raphaël vive ormai la sua
agonia, è ricco ma schiavo dei suoi desideri. Si reca al teatro Favart dove
viene rappresentata la Semiramide. Al teatro rivede quasi tutti i personaggi:
il vecchio antiquario, Fœdora, Taillefer, Emile, Rastignac, quando
all’Ouverture del secondo atto una signora gli si siede accanto. Raphaël non si
volta a guardare la donna, eppure dalle reazioni del pubblico ammirato, dai
cenni che gli fa Emile, si rende conto di avere accanto una donna di fuoco. Ma Raphaël
non si può voltare, deciso a non rompere il patto concluso con se stesso per
cui non può guardare più una donna. Però non resiste a certi impercettibili
segnali che provengono inconsciamente dalla donna: il fruscio “femmineo” delle
pieghe del vestito di lei, il suo respiro che si trasmette agli abiti, in modo
da comunicare a Raphaël la vita soave «[…] comme une étincelle électrique»(9),
il tulle e le trine che trasmettono alle sue spalle vellicate il calore di
«quel dorso bianco e nudo». Raphaël si volta e quella donna da lui immaginata
di fuoco non è altri che Pauline, la ragazza della soffitta, alla quale Raphaël
ha insegnato a suonare il pianoforte. Pur essendo diventata ricca possiede lo
stesso candore, lo stesso atteggiamento, la stessa modestia verginale. È la
donna che Raphaël ha sempre sognato, la donna che capisce i poeti e vive nel
lusso. </span><span style="font-size: 12pt; line-height: 115%;">Queste due scene sono melodrammatiche, anche se il dramma
viene raggiunto nell’una tramite il dialogo e i gesti, e nell’altra attraverso
le sensazioni tattili e olfattive in un crescendo erotico probabilmente ineguagliabile
con altri mezzi. Lo scontro verbale-gestuale tra Raphaël e Fœdora è messo in
risalto dall’atteggiamento manicheo dei due personaggi. Ambedue hanno scelto la
“débauche”, hanno scelto di vivere fuori dalla norma. Fœdora è la donna di
ghiaccio, bella e irraggiungibile, che vuole tutti gli uomini ai suoi piedi,
pronti a soddisfare ogni suo capriccio. A lei interessa soltanto il denaro e la
vita mondana, non ama Raphaël, ma lo vuole come schiavo. Conosce i codici della
vita lussuosa, ma non va oltre le apparenze. Non sembra che vi sia un senso
profondo dietro il suo comportamento. Per lo meno Raphaël non riesce a
decifrarlo. La scena con Pauline al teatro è ancora più melodrammatica. In
realtà gli spettatori non guardano lo spettacolo che si rappresenta, ma il
palco dove sono seduti Raphaël e Pauline. Raphaël si è promesso di non
desiderare più nessuna donna per impedire al talismano di restringersi
ulteriormente. Eppure le </span><span style="font-size: 12pt; line-height: 115%;">sensazioni tattili e olfattive che prova dal contatto con la
sconosciuta, il respiro di lei che si trasmette lungo il suo corpo, il profumo emanato
dalla pelle della femmina, si accumulano provocando un crescente erotismo, fino
a quando Raphaël, non potendo resistere alla curiosità di conoscere quella
donna di fuoco, si volta e scopre che si tratta di Pauline. Per ironia della
sorte sarà quindi la candida Pauline, che vive nell’ «abnegazione e nell’offerta di sé», la donna fatale a Raphaël. Anche se la causa
della sua morte è la «débauche», la dissolutezza, la vita nell’eccesso, Raphaël
si è difeso riuscendo ad evitare di desiderare tutte le donne (persino la
fredda Fœdora che avrebbe potuto essere sua solo l’avesse voluto). Ma Raphaël
non riesce a resistere alla tentazione di vivere con Pauline e il suo rapporto
con la donna porterà la pelle di Zigrino a ridursi alle dimensioni di una
fogliolina. Pauline è un personaggio a tutto tondo, una donna di tipo
“orientale” che vive nell’abnegazione per l’uomo amato. Eppure non sembra una
donna che ha scelto di vivere nella «débauche» (anche se l’abnegazione potrebbe
essere considerata una forma di dissolutezza). Raphaël, giunto sull’orlo del
baratro, decide di morire tra le braccia della sua Pauline (anche questa scena
finale è fortemente drammatica). Possibile che la débauche porti Raphaël
sull’orlo del baratro, ma sia la castità a dargli l’ultima spinta? Forse
Pauline è un sogno che si è realizzato (una donna che ama i poeti e ricca è
sempre stato il vero, unico desiderio di Raphaël). Morire per un sogno è un
gesto eroico che ingigantisce ancora più i personaggi di questo ultimo atto.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 10.0pt;">1. Honoré de Balzac, <i>La pelle di zigrino</i>, TEA 1992, p.1894
(traduzione italiana a cura di Giorgia Vivanti)<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify;">
<span lang="FR" style="font-size: 10.0pt; mso-ansi-language: FR;">2. Ivi,
p.p. 189-190 <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify;">
<span lang="FR" style="font-size: 10.0pt; mso-ansi-language: FR;">3. Honoré
de Balzac, <i>La Peau de chagrin</i>,
Galllimard 1974, p. 216<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify;">
<span lang="FR" style="font-size: 10.0pt; mso-ansi-language: FR;">4 <i>Ibidem</i><o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify;">
<span lang="FR" style="font-size: 10.0pt; mso-ansi-language: FR;">5. Ivi, p
216-217<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify;">
<span style="font-size: 10.0pt;">6. Honoré de Balzac, <i>La pelle di zigrino</i>, TEA 1992, p. 191
(traduzione italiana a cura di Giorgia Vivanti)<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify;">
<span lang="FR" style="font-size: 10.0pt; mso-ansi-language: FR;">7. Honoré
de Balzac, <i>La Peau de chagrin</i>,
Galllimard 1974, p. 218<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify;">
<span lang="FR" style="font-size: 10.0pt; mso-ansi-language: FR;">8<i>. Ibidem<o:p></o:p></i></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify;">
<span lang="FR" style="font-size: 10.0pt; mso-ansi-language: FR;">9. Ivi, p.
173<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify;">
<span lang="FR" style="font-size: 10.0pt; mso-ansi-language: FR;"> </span><span style="font-size: 10pt; text-align: left;"> </span></div>
<br />
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 12.0pt;">
<span style="font-size: 10pt; line-height: 115%;">L'immagine è tratta dal film omonimo di Alain
Berliner del 2010</span><span style="font-size: 10.0pt; line-height: 115%;"><o:p></o:p></span></div>
</div>
Lucianohttp://www.blogger.com/profile/05281484351080932004noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5777122313236702198.post-11008547711640231732015-05-28T01:30:00.000+02:002015-05-28T01:31:05.807+02:00La peau de chagrin (Honoré de Balzac, 1831): 3/5 Effetti di pre-cinema: il melodramma<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgi4EH32cxSD0dk0U0Gs35bcfBYj-LyEyi6Re0k1F_vYjnqw9vOFjm8JGQh9TEBE__v2LKsR6jqtW4Fhfi-BhQpzFLmyIsnkIUjmkbLxkEEUEXE46jy8muHEwVm3_a-DECzzzJBumIhZZft/s1600/la-peau-de-chagrin_457780_31804.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="213" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgi4EH32cxSD0dk0U0Gs35bcfBYj-LyEyi6Re0k1F_vYjnqw9vOFjm8JGQh9TEBE__v2LKsR6jqtW4Fhfi-BhQpzFLmyIsnkIUjmkbLxkEEUEXE46jy8muHEwVm3_a-DECzzzJBumIhZZft/s320/la-peau-de-chagrin_457780_31804.jpg" width="320" /></a></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 12pt; text-align: justify;">
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 12.0pt;">
<span style="font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">I “nuclei teatrali”, le parti forti, sono fondamentali nei
romanzi di Balzac, sono tentativi di scavare sotto la realtà e di portare alla
luce l’autentico dramma, di scovare i conflitti che operano sotto l’apparenza,
e in particolare in questo racconto, di portare alla luce le forze occulte. «Le
azioni, i gesti, rimandano a una serie di
interrogativi tesi a scoprire i significati impliciti. La voce narrante
non si limita a descrivere» (1) i gesti. Il narratore effettua una pressione
costante sul reale per costringerlo a fare emergere tutto ciò che sta dietro. E
può raggiungere il suo scopo formulando ipotesi, anche le più fantastiche. Il
semplice gesto di consegnare un cappello può scatenare una reazione a catena.
Lo sconosciuto che entra nella sala da gioco è già in trappola, mette in gioco
se stesso, la sua stessa vita. In questa prima parte l’azione si svolge in
maniera singolare: è spezzata da interrogativi, interventi d’autore,
descrizioni. L’usciere della sala da gioco diventa metafora di un vita
dissoluta, è l’incarnazione del Gioco, è un cerbero che scorta le anime
dannate, ma è anche un «conseil vivant». Se lo sconosciuto fosse riuscito a
vedere al di là delle apparenze, forse sarebbe ritornato sui suoi passi.
L’usciere viene descritto mentre compie dei gesti (prende il cappello al
giovane, gli consegna un gettone numerato). Non è un vero e proprio
personaggio, ma un “tipo” ignobile; nel suo sguardo un «[…] filosofo avrebbe
veduto le miserie dell’ospedale, il vagabondare di gente in rovina,
l’istruttoria ad una folla di asfissiati, i lavori forzati a vita e le
deportazioni al Guazacoalco» (2). Circa due pagine dopo lo sconosciuto entra
nella sala (paragonata a un’arena per via dei suoi muri ricoperti da una carta
bisunta, di un pavimento sudicio, a causa di semplici sedie di paglia pigiate
intorno a un tappeto logorato dall’oro e disposto su una tavola oblunga) dove
si trovano alcuni giocatori. Entra nell’arena, fa il suo ingresso sotto lo
sguardo indagatore del pubblico (i giocatori). Ci sono tre vecchi calvi seduti
intorno al tappeto verde, che stanno impassibili ad osservare con i loro volti
di gesso; c’è un italiano assorto nel gioco che forse ascolta i presentimenti
segreti, cioè gli assensi o i dinieghi su una puntata; infine sette od otto
spettatori in piedi che seguono la scena. Questi uomini in piedi sono il
pubblico attento che è paragonato dal narratore allo stesso pubblico che
assiste immobile all’esecuzione di una sentenza di morte in <i>Place de la Grève</i>. Questa scena è molto
interessante perché somiglia a una sequenza cinematografica. Infatti, leggendo
attentamente il testo, è possibile ricavare la seguente situazione: lo
sconosciuto ENTRA NELLA SALA, ci sono già dei GIOCATORI, DESCRIZIONE dei
giocatori, i giocatori si VOLTANO quando lo sconosciuto entra nella sala. In un
primo momento ho avuto la sensazione che lo sconosciuto sia entrato due volte
nella sala, ma riflettendo mi sono reso conto che la scena debba essere
immaginata come osservata da due differenti punti di vista: in un primo momento
il punto di vista è quello dello sconosciuto che subito dopo avere aperto la
porta vede l’arredamento della stanza, i giocatori, il tavolo con tappeto
verde, raccolti in un unico quadro (un campo lungo); ma immediatamente la
macchina da presa viene spostata dall’altra parte della stanza, dove stanno gli
“spettatori” e lo sguardo del narratario coincide con quello degli stessi
personaggi (comparse). Da qui in poi la ripresa prosegue con la descrizione
dello sconosciuto, visto come un condannato a morte, filtrata attraverso le
impressioni che suscita negli spettatori. Balzac non poteva conoscere il
cinema, ma sicuramente aveva assistito a spettacoli melodrammatici. Il
Melodramma richiede l’azione eccessiva, i contrasti evidenti tra i personaggi,
quindi i «[…] romanzi sfociano in momenti di confronto […] nei quali un
contenuto significativo immenso perviene alla rappresentazione melodrammatica.
Lo stile vien così concepito come drammatizzazione della realtà ed
accentuazione dell’effetto» (3). A guardar bene tutta la storia di Raphaël è
melodrammatica, perché la scelta di una vita dissoluta, di una vita che
sconfigge la quotidianità in una lotta continua contro i mostri che si celano
dietro le apparenze, una vita vissuta al di sopra dei propri mezzi, è la scelta
di un dramma continuo, per cui un semplice gesto della donna amata, un semplice
rifiuto, o una semplice richiesta di fiori, si trasformano in situazioni
estreme in cui Raphaël si muove a fatica. Gli oggetti, le azioni più banali, i
vestiti stessi che indossa, diventano allora portatori di senso; non sono
semplici “effetti” di realtà, ma nascondono qualcos’altro, in altri termini
“significano”. È questo eccesso di significato che determina il dramma. Lo
spessore delle cose aumenta e persino il gesto di dare la mancia a un facchino
provoca una tensione tutta melodrammatica. I vestiti che Raphaël indossa
potrebbero tradirlo nei confronti di Fœdora. In particolare un cappello tenuto
con cura, non nuovo, ma ancora passabile. Raphaël non ha i soldi per pagare una
carrozza e tutte le volte che torna dal palazzo di Fœdora alla sua soffitta è
costretto a percorrere un lungo tratto a piedi; ecco allora che un banale
temporale può compromettere tutto:<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 12.0pt;">
<span lang="FR" style="font-size: 10.0pt; line-height: 115%; mso-ansi-language: FR;">Pour comble de malheur, la pluie
déformait mon chapeau. Comment pouvoir aborder désormais une femme élégante et
me présenter dans un salon sans un chapeau mettable ! Grâce à des soins
extrêmes, et tout en maudissant la mode niaise et sotte qui nous condamne à
exhiber la coiffe de nos chapeaux en le gardant constamment à la main, j’avais
maintenu le mien jusque-là dans un état douteux. Sans être curieusement neuf ou
sèchement vieux, dénué ou très soyeux, il pouvait passer pour le chapeau d’un
homme soigneux ; mais son existence artificielle arrivait à son dernier
période, il était blessé, déjeté, fini, véritable haillon, digne représentant
de son maître. Faute de trente sous, je perdais mon industrieuse élégance</span><span lang="FR" style="font-size: 12.0pt; line-height: 115%; mso-ansi-language: FR;"> (4).<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 12.0pt;">
<span style="font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Qui un cappello acquista una valenza melodrammatica, si
riempie di significato: una volta rovinato dalla pioggia e non sostituito
farebbe risaltare l’indigenza di Raphaël.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt;">
<span style="font-size: 10.0pt;">1. Peter Brooks, <i>L’immaginazione melodrammatica</i>, Pratiche Editrice, p. 15<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt;">
<span style="font-size: 10.0pt;">2. Honoré de Balzac, <i>La pelle di zigrino</i>, TEA 1992, p. 4
(traduzione italiana a cura di Giorgia Vivanti)<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt;">
<span style="font-size: 10.0pt;">3. Peter Brooks, <i>L’immaginazione melodrammatica</i>, cit., p. 149<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt;">
<span lang="FR" style="font-size: 10.0pt; mso-ansi-language: FR;">4. Honoré
de Balzac, <i>La Peau de chagrin</i>,
Galllimard 1974, pp. 173-174<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt;">
<br /></div>
<br />
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 12.0pt;">
<span style="font-size: 10pt; line-height: 115%;">L'immagine è tratta dal film omonimo di Alain
Berliner del 2010</span><span style="font-size: 10.0pt; line-height: 115%;"><o:p></o:p></span></div>
</div>
</div>
</div>
Lucianohttp://www.blogger.com/profile/05281484351080932004noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5777122313236702198.post-7860802675641811182015-05-27T00:21:00.000+02:002015-05-27T17:03:27.395+02:00La peau de chagrin (Honoré de Balzac, 1831): 2/5 immaginazione melodrammatica<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjP0Jg1muIfo05LiFTSbN6AS4vGWSwnBEuYd4pRcrZS-1YHr1QH6ZmnazeAl9fdFOpWeffcU-7_CwjF5czzn741SgHq6OsJeLh-WHowRgO5Rz34Nf0UogEe4wT9uNm1-9W5IuhtSw7gU_Fg/s1600/peaudechagrin.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="240" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjP0Jg1muIfo05LiFTSbN6AS4vGWSwnBEuYd4pRcrZS-1YHr1QH6ZmnazeAl9fdFOpWeffcU-7_CwjF5czzn741SgHq6OsJeLh-WHowRgO5Rz34Nf0UogEe4wT9uNm1-9W5IuhtSw7gU_Fg/s320/peaudechagrin.jpg" width="320" /></a></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 12pt; text-align: justify;">
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 12.0pt;">
<span style="font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Quando, nella seconda parte del romanzo, Raphaël racconta la
sua storia, vi sono differenze notevoli con la prima parte, soprattutto da un
punto di vista stilistico. Il racconto passa infatti dalla terza alla prima
persona, il narratore eterodiegetico lascia il posto a un narratore
intradiegetico che è dentro l’azione e che non è quindi onnisciente. Questo
narratore secondo non è padrone indiscusso del racconto, non ne conosce gli
esiti, ma il suo scopo è quello di “contestualizzare” la storia di Raphaël, che
per quasi tutta la prima parte del romanzo è un eroe senza nome, immerso in un mondo fantastico, e riceve un nome
soltanto quando il destino si è compiuto (l’uscita dalla bottega
dell’Antiquario è già l’inizio dell’agonia). A questo punto può entrate nella
storia, immergersi nel baccanale offerto dal banchiere Taillefer e confessare
il percorso della sua caduta. Anche nel racconto retrospettivo troviamo
numerose descrizioni che determinano una situazione, che riescono a far
comprendere il rapporto tra il personaggio e il suo “milieu”. </span><span lang="FR" style="font-size: 12.0pt; line-height: 115%; mso-ansi-language: FR;">Raphaël a
vent’anni indossa, al ballo del duca di Navarreins, cugino di suo padre, un «[…]
habit râpé, des souliers mal fais, une cravate de cocher et des gants déjà
portés» (1). </span><span style="font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Questo
abbigliamento trasandato serve, come afferma lo stesso narratore al suo narratario,
per “comprendere” la posizione del personaggio che è già “attratto” dal “fatale
tappeto verde” di un tavolo da gioco. E anche la sala da gioco improvvisata
durante la festa in casa del cugino Duca è descritta con abbondanza di
particolari. Notevole ad esempio la
descrizione della sonorità della stanza, dove l’effetto di realtà è pienamente
compiuto. L’ostacolo “sonoro” che impedirebbe a Raphaël di udire le parole dei
giocatori, se non fosse per il «[…] privilegio accordato alle passioni che dà
loro il potere di annullare spazio e tempo» (2), è un esempio eclatante
dell’importanza di una descrizione di tipo realista:<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 12.0pt;">
<span lang="FR" style="font-size: 10.0pt; line-height: 115%; mso-ansi-language: FR;">[…] le bourdonnement des voix empêchait
de distinguer le son de l’or qui se mêlait au bruit de l’orchestre (3)<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 12.0pt;">
<span style="font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Da approfondire anche la descrizione del paesaggio di tetti
che Raphaël vede dalla sua soffitta, dove eppure pulsa la vita di una Parigi
sprofondata nella miseria (una donna che annaffia i fiori, una ragazza che fa
la toeletta) e degli stupendi contrasti cromatici causati dalla variazioni
della luce con il trascorrere del tempo e con il cambiamento del clima:<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 12.0pt;">
<span lang="FR" style="font-size: 10.0pt; line-height: 115%; mso-ansi-language: FR;">Tantôt le soir des raies
lumineuses, parties des volets mal fermés, nuançaient et animaient les noires
profondeurs de ce pays original. Tantôt les lueurs pales des réverbères
projetaient d’en bas des reflets jaunâtres à travers le brouillard, et
accusaient faiblement dans les rues les ondulations de ces toits presses, océan
de vagues immobiles. Enfin parfois de rares figures apparaissaient au milieu de
ce morne désert, parmi les fleurs de quelque jardin aérien, j’entrevoyais le
profil anguleux et crochu d’une vieille femme arrosant des capucines, ou dans
le cadre d’une lucarne pourrie quelque jeune fille faisant sa toilette, se
croyant seule, et de qui je ne pouvais apercevoir que le beau front et les
longs cheveux élevés en l’air par un joli bras blanc. J’admirais dans les
gouttières quelque végétations éphémères, pauvres herbes bientôt emportées par un orage! J’étudiais les mousses, leurs
couleurs ravivées par la pluie, et qui sous le soleil se changeaient en un
velours sec et brun à reflets capricieux. Enfin les poétiques et fugitives effets
du jour, les tristesses du brouillard, les soudains pétillements du soleil, le
silence et les magies de la nuit, les mystères de l’aurore, les fumes de chaque
cheminée, tous les accidents de cette singulière nature devenus familiers pour
moi, me divertissaient (4)<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 12.0pt;">
<span style="font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Gli esempi sarebbero innumerevoli, ma importa notare come
tutto venga amplificato dall’immaginazione dello scrittore: lo specchio che
riflette la realtà, che riesce a rendere alcuni aspetti del reale è nella mente
del poeta; non si tratta di riportare fedelmente la realtà, lo specchio non
fotografa il reale, ma è assoggettato all’immaginazione del poeta, «[…] </span><span lang="FR" style="font-size: 12.0pt; line-height: 115%; mso-ansi-language: FR;">car il ne
s’agit pas seulement de voir, il faut encore se souvenir et empreindre ses
impressions dans un certain choix de mots, et les parer de toute la grâce des
images ou leur communiquer le vif des sensations primordiales»</span><span style="font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">(5). L’effetto di realtà, che attenua
il senso, in Balzac è del tutto particolare. Vi è infatti una dilatazione del
reale, e in certi momenti della narrazione sembra quasi che ogni movimento,
ogni gesto, sia ripreso al rallentatore, perché gli “effetti” nascondono delle
cause, calano le “macchine” che spostano le quinte e che producono i trucchi
della rappresentazione. L’insistere continuo sui particolari, la ripresa
rallentata, può aiutare a produrre senso. Il poeta è obbligato ad avere in sé
uno specchio concentrico, dove, seguendo la sua fantasia, va a riflettersi
l’universo, scrive Balzac. Dunque immaginazione e specchio. Ma se il reale
tende a nascondere quello che c’è sotto, l’immaginazione può aiutare a “vedere”
le cause e l’immaginazione non può che essere melodrammatica.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt;">
<span lang="FR" style="font-size: 10.0pt; mso-ansi-language: FR;">1. Honoré
de Balzac, <i>La Peau de chagrin</i>,
Galllimard 1974, p. 119<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt;">
<span style="font-size: 10.0pt;">2. Honoré de Balzac, <i>La pelle di zigrino</i>, TEA 1992, p. 95
(traduzione italiana a cura di Giorgia Vivanti)<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt;">
<span lang="FR" style="font-size: 10.0pt; mso-ansi-language: FR;">3. Honoré
de Balzac, <i>La Peau de chagrin</i>, cit.,
p. 120<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt;">
<span lang="FR" style="font-size: 10.0pt; mso-ansi-language: FR;">4. Ivi, pp.
137-138<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt;">
<span lang="FR" style="font-size: 10.0pt; mso-ansi-language: FR;">5. Honoré
de Balzac, <i>Préface (1831)</i> a <i>La Peau de chagrin</i>, p. 402<o:p></o:p></span><br />
<span lang="FR" style="font-size: 10.0pt; mso-ansi-language: FR;"><br /></span>
<span lang="FR" style="font-size: 10.0pt; mso-ansi-language: FR;">L'immagine è tratta dal film omonimo di Alain Berliner del 2010</span></div>
</div>
</div>
Lucianohttp://www.blogger.com/profile/05281484351080932004noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5777122313236702198.post-57865263817322635402015-05-24T11:04:00.000+02:002015-05-27T16:54:38.615+02:00La peau de chagrin (Honoré de Balzac, 1831): 1/5 effetto di realtà<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjtgzLJ8I-BV_S9zT21QKT-I3CzMDjaG4ucyovi-HQvB6KdSgVlDNm_arw2u3-cQSHaY2emYYdrRfuF2RaL3GPIiGSqXJXaD8kCaeB2rVdM3woUaiYJYVmohBGl62z2Tl__MmygL502LSyN/s1600/Balzac-La-Peau-De-Chagrin-Preface-D-andre-Pieyre-De-Mandiargues-Folio-Livre-687081927_ML.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjtgzLJ8I-BV_S9zT21QKT-I3CzMDjaG4ucyovi-HQvB6KdSgVlDNm_arw2u3-cQSHaY2emYYdrRfuF2RaL3GPIiGSqXJXaD8kCaeB2rVdM3woUaiYJYVmohBGl62z2Tl__MmygL502LSyN/s1600/Balzac-La-Peau-De-Chagrin-Preface-D-andre-Pieyre-De-Mandiargues-Folio-Livre-687081927_ML.jpg" /></a></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<div class="MsoNormal">
<span style="font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">«La prima
[direzione] ci ha condotti» , scrive Franco Moretti, «all’appannamento delle
opposizioni paradigmatiche, all’entropia, al processo di socializzazione; la
seconda invece alla lievitazione del quotidiano, all’apertura dei riempitivi
narrativi, al benessere. Il primo percorso riguarda, grosso modo, l’eroe
realista. Il secondo, il mondo realista» (1). È un’affermazione che chiarisce,
rettificandola, l’idea che sta alla base del saggio di Barthes (2): il
significato viene espulso dal segno in quanto l’effetto di reale comporta la
collusione tra significante e referente. Per Moretti nella retorica realista si
ha un indebolimento di significato e non un’espulsione; quindi non c’è un realismo
“interstiziale”, ma, per quanto riguarda in particolare il racconto, vi sono
nuclei e catalisi, ossia momenti densi di significato, “zone” cruciali che
producono senso, e zone riempitive che indeboliscono il senso. Il realismo
ottocentesco si è liberato della narrazione di tipo epico-tragico, quella dei grandi
eroi, dei grandi eventi, e si è arricchito della quotidianità (oggetti,
gestualità, clima, geografia) quindi di zone più deboli della narrazione che “attenuano”
i significati, ma creano “effetti di realtà”, zone che introducono la vita
quotidiana nella letteratura. Una quotidianità fatta anche di corse sotto la
pioggia, di cappelli rovinati dal temporale, di sarti che fanno credito a
giovani pretendenti, di facchini che chiedono la mancia, persino di tazze colme
di latte.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="FR" style="font-size: 10.0pt; line-height: 115%; mso-ansi-language: FR;">Je me souviens d’avoir quelquefois trempé gaiement mon
pain dans mon lait, assis auprès de ma fenêtre en y respirant l’air, en
laissant planer mes yeux sur un paysage de toits bruns, grisâtres, rouges, en ardoises en tuiles, couverts de mousses
jaunes ou vertes (3)<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Questi “frammenti” di realtà sono
fondamentali nei romanzi di Balzac, perché servono a determinare la storia
narrata e a collocarla in contesti descritti minuziosamente; non sono fini a se
stessi, né sono scenari immobili gettati nella storia solo per riempirla, sono al
contrario parti neutre essenziali alla retorica realista che ha «[…] ottenuto
tanta fortuna ideologica e politica forse proprio perché […] appare funzionale
al nuovo mondo dell’Europa borghese: un mondo che smorza le individualità
attraverso un processo di socializzazione e si priva quindi di senso»(4).<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 12.0pt;">
<span style="font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">La “confessione” di Raphaël all’amico Émile abbonda di
descrizioni fondamentali per conoscere il personaggio, la sua vita con il
padre, la perdita delle sostanze a causa di investimenti sbagliati, la povertà,
quei tre anni vissuti in una misera soffitta, l’incontro con Rastignac e quindi
l’ingresso nell’alta società, la vita mondana a fianco di Fœdora. Il racconto
retrospettivo di Raphaël è la storia di una caduta senza possibilità di
redenzione; in questo caso non c’è stata la conversione morale che abbiamo
trovato in <i>Adolphe</i>, non c’è stato il
passaggio da una vita di errori, dalla <i>faiblesse</i>,
a una presa di coscienza, a una consapevolezza che dia un senso alla storia.
Raphaël racconta solo per rispondere a una semplice domanda: perché stavo per suicidarmi? Per questo deve
percorrere la sua vita a ritroso di alcuni anni fino all’incontro con Émile sul
lungo Senna, raccontando la storia della sua caduta dal Cielo alla <i>débauche</i>, da una vita monacale dedita
agli studi a una vita di dissolutezze. Nel romanzo l’effetto del reale è efficace,
Balzac immette il personaggio nella storia. La “confessione” di Raphaël si
svolge dentro il festino offerto dal banchiere Taillefer in occasione della
fondazione di un giornale che dovrà essere di supporto alla monarchia
costituzionale, addirittura un giornale che viene fondato «[…] </span><span lang="FR" style="font-size: 12.0pt; line-height: 115%; mso-ansi-language: FR;">dans le
but de faire une opposition qui contente les mecontentes, sans nuire au gouvernement
National du roi-citoyen</span><span style="font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">»(5).
La descrizione dei convitati che Émile mostra a Raphaël in un salone
risplendente di dorature e di luci (un pittore, uno scultore dal volto rude,
uno scrittore, un caricaturista dagli occhi maliziosi e dalla bocca mordace, un
altro scrittore che s’intrattiene con un poeta, un musicista che consola in <i>si bemolle</i> un politico caduto dalla
tribuna senza farsi male, due o tre scienziati, parecchi scrittori di «vaudevilles»,
addirittura un sentenzioso che non si stupisce mai di niente, «[…] qui se
mouche au milieu d’une cavatine aux Bouffons»)(6), oltre a rispecchiare
magnificamente l’atmosfera di un saturnale della Parigi dei primi ottocento, rappresenta
una delle innumerevoli descrizioni “deboli” che precedono scene dense di senso.
La descrizione dell’ambiente si trattiene su ogni particolare e gesto: dopo
l’atmosfera creata dai convitati, il narratore si sofferma sull’anfitrione,
quindi su una fugace apparizione di un cameriere in nero che apre le porte di
una vasta sala da pranzo descritta attraverso lo sguardo di Raphaël: seta e oro
dovunque che tappezzano l’appartamento, ricchi candelabri con numerose candele
che illuminano e mettono in risalto i particolari di fregi dorati, le
cesellature dei bronzi e i colori della mobilia; fiori rari ben disposti e
profumati. Dopo una pagina circa di commenti a quella magnificenza, la
descrizione prosegue “nel mostrare” la tavola imbandita vista attraverso
l’ammirazione di ogni convitato: innanzitutto
la tavola è bianca </span><span lang="FR" style="font-size: 12.0pt; line-height: 115%; mso-ansi-language: FR;">«[…] comme une couche de neige
fraîchement tombée</span><span style="font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">»(7) e
sopra si trovano i coperti disposti simmetricamente e coronati da panini biondi:
quindi inizia l’elenco degli oggetti posti sopra la tavola: cristalli che
rispecchiano i colori dell’iride, candele che incrociano all’infinito le loro
luci, vivande sotto cupole d’argento che aguzzano appetito e curiosità.
Dopodiché vengono portati il vino di Madera e la prima portata, che introducono
l’inizio del saturnale con i suoi spezzoni di dialogo sempre più frantumato via
via che i commensali perdono in lucidità. Quando il narratore introduce l’
“arrivo” della frutta, ormai la descrizione degli oggetti non passa più
attraverso i convitati, capaci soltanto di avere una vaga intuizione dello
spettacolo che si presenta ai loro occhi. È il narratore stesso che descrive la
fruttiera colma di cesti di fragole, ananassi, datteri, uve di ogni tipo,
melagrane, frutti cinesi, e infine la pasticceria. Sublime anche la descrizione
dell’ <i>harem</i>, delle ragazze che
attendono i convitati in un’altra stanza:<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 12.0pt;">
<span lang="FR" style="font-size: 10.0pt; line-height: 115%; mso-ansi-language: FR;">De petits pied étroits parlaient
d’amour, des bouches fraîches et décentes jeunes filles, vierges factices dont
les cheveux respiraient une religieuse innocence, se présentaient aux regard
comme des apparitions qu’un soufflé pouvait dissiper (8)<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 12.0pt;">
<span style="font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Anche la seconda parte del romanzo abbonda di parti
descrittive, di catalisi, che servono a preparare le scene più drammatiche, oltre
che ad alimentare il contesto della storia. Un contesto “imbevuto” di realtà,
che è anzi esso stesso un effetto di realtà formato da un’infinità di
particolari, di gesti, di comportamenti, in cui domina la ricchezza e la
ridondanza dei significanti, e in cui le descrizioni si susseguono l’una
incastrata nell’altra a un ritmo incalzante, quasi parossistico. L’attenzione
per il particolare, per la precisione delle descrizioni, dell’analisi dei
tratti di un volto, la cura con cui spesso l’autore abbina un carattere o una
professione a un tratto fisico (il caricaturista dagli occhi maliziosi e dalla
bocca mordace) o a un gesto (il sentenzioso che si soffia il naso), risulta
fondamentale per inquadrare tanto la società che “circonda” il protagonista,
quanto la “teatralità” di certi “nuclei” narrativi.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt;">
<span style="font-size: 10.0pt;">1. Franco Moretti, <i>L’anima e le cose</i>, in <i>Realismo ed effetti di realtà nel romanzo dell’Ottocento</i>, Bulzoni 1933 p. 33<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt;">
<span lang="FR" style="font-size: 10.0pt; mso-ansi-language: FR;">2. Roland
Barthes, <i>L’effet de réel</i>, in <i>Le Bruissement de la langue</i>, Seuil 1984, pp
167-174<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt;">
<span lang="FR" style="font-size: 10.0pt; mso-ansi-language: FR;">3. Honoré
de Balzac, <i>La Peau de chagrin</i>, Gallimard 1974, p. 137<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt;">
<span style="font-size: 10.0pt;">4. Franco Moretti, <i>L’anima e le cose</i>, cit., p. 34<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt;">
<span lang="FR" style="font-size: 10.0pt; mso-ansi-language: FR;">5. Honoré de Balzac, <i>La Peau
de chagrin</i>, cit., p. 70<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt;">
<span style="font-size: 10.0pt;">6. Ivi, p. 76<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt;">
<span style="font-size: 10.0pt;">7. Ivi, p. 79<o:p></o:p></span></div>
<span style="font-size: 10pt;">8. Ivi, p. 98</span></div>
</div>
Lucianohttp://www.blogger.com/profile/05281484351080932004noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-5777122313236702198.post-11421273890704634172015-05-20T22:54:00.001+02:002015-05-20T23:30:22.860+02:00Interstellar (Christopher Nolan, 2014). 3 /3 Ritorno al classico<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
</div>
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjzlKVywbSCBcYnmRr_i8z0Mp3ueyenm9Lo4LqqeG9pR9N-TEYAHHoDi5OcmSI0DLLGfA7fyl1HQVUzu9GdU8RXPX1Bj8H51l3kxctKVHp9UX6MMCApHqrzJAg9o53OXrWwnwlQFE1RcWx_/s1600/interstellar-1.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="213" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjzlKVywbSCBcYnmRr_i8z0Mp3ueyenm9Lo4LqqeG9pR9N-TEYAHHoDi5OcmSI0DLLGfA7fyl1HQVUzu9GdU8RXPX1Bj8H51l3kxctKVHp9UX6MMCApHqrzJAg9o53OXrWwnwlQFE1RcWx_/s320/interstellar-1.jpg" width="320" /></a></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Lo stratagemma dell’alfabeto morse per comunicare a Murphy
la tecnologia utile a salvare l’umanità non è affatto originale: mi viene ad
esempio in mente il primo film di <i>Star
Trek</i> del lontano 1979. Forma <i>ante
litteram</i> di comunicazione digitale potrebbe essere paragonato alla
comunicazione binaria. Ma dall’interno delle cinque dimensioni è possibile
usare un sistema digitale per inviare
segnali all’orologio di Cooper poggiato su uno scaffale della biblioteca di
Murphy? Perché in un film, in cui ha tenuto tanto a rispettare le leggi della
fisica (non fino in fondo però), presupponendo addirittura un universo a cinque
dimensioni (ma si trova dentro Gargantua?), il mezzo per comunicare con Murphy
è un alfabeto datato 1837? L’alfabeto morse interferisce con il tempo
(l’orologio),ma non è evidente come il
battito del dito di Cooper sull’elastica libreria sia trasmesso alle lancette
dell’orologio afferrato da Murphy adulta. In altri termini un codice
linguistico “arcaico” diviene medium della salvezza dell’umanità attraversando
lo spazio tempo, “scendendo” di una
dimensione e fuoriuscendo da un buco nero. Solo l’alfabeto morse può uscire
dall’orizzonte degli eventi di Gargantua, la dove neppure la luce può
osare? L’intera sequenza all’interno del gigante è molto
fantascientifica, pertanto niente da obiettare se un segnale antico riesce a uscire
da un luogo in cui la gravità impedisce persino alla luce di venire fuori. Il nome
scelto per il buco nero appartiene a un gigantesco personaggio di un romanzo di
Rabelais (<i>Gargantua e Pantagruel</i>);
Gargantua nato da un orecchio della madre Gargamelle, figlio di Grangousier,
diviene l’erede del regno di Utopia e dopo molte vicende ingaggia una battaglia
contro un re con l’aiuto di un frate; ottenuta la vittoria, per ringraziarlo, dona
al frate e ai sudditi <span style="background: white; mso-bidi-font-family: Arial;">l'abbazia
di Thélème, dove regna<span style="color: #333333;"> l’armonia e dove ognuno può
fare quel che vuole</span></span>. Come
un gigante (parodia di un Dio) permette agli uomini di usare il libero
arbitrio, allo stesso modo nell’antro di una stella collassata, luogo in cui
già il tempo fa quel che vuole, a parte la probabile spaghettificazione di ogni
corpo od oggetto al di là dell’orizzonte degli eventi, tutto è possibile. Inoltre
l’alfabeto morse non è poi così tanto “arcaico” e neppure tanto “digitale”;
infatti non rispetta due condizioni come il sistema binario (0 e 1) ma cinque
(punto,linea,intervallo breve, intervallo medio, intervallo lungo). Il numero
cinque non ricorda per caso l’universo a cinque dimensioni del tesseratto?
Nolan ci comunica che ha cercato di attenersi
alla scienza, ma in fondo il racconto è un’utopia la cui sinossi
ristretta può sintetizzarsi in: l’amore sconfigge la gravità e niente gli è
precluso. Utopia in fondo è Fantascienza, anche quella più vicina alla Scienza
e in effetti la città spaziale è quanto di più scientifico sia illustrato in <i>Interstellar</i>: un’umanità che solca lo
spazio semplicemente abitandovi; lo spazio infinito come una casa. La breve
sequenza della città spaziale è in effetti molto interessante. Cooper si
risveglia in ospedale dove un medico gli fa sapere che si trovano nella
stazione spaziale Cooper, nome assegnato non in suo onore ma in onore di Murphy;
una volta dimesso lo conducono nella sua nuova abitazione, una copia della vecchia
casa, qui trova anche TARS, lo ripara, si reca in ospedale al capezzale di sua
figlia circondata da parenti, figli, nipoti, pronipoti. Murphy gli rivela che deve
raggiungere Brand, ormai rimasta sola, scesa sul terzo pianeta, nuova casa
dell’umanità. Sono circa nove minuti in cui il racconto si condensa, nove
minuti che definirei epici in quanto le parti riempitive (descrizioni, scene)
sono quasi nulle a tutto vantaggio del racconto (nell’epica dominano i nuclei
narrativi). A differenza della più parte delle sequenze in cui dominano
catalisi (descrizioni, paesaggi suggestivi, dialoghi, azione, emozione) nella
sequenza finale la storia acquista “velocità”. Murphy nel suo lettino
d’ospedale racconta a Cooper di Brand, indicandogli anche il punto d’arrivo del
viaggio. Poiché adesso i salti temporali ci hanno permesso di capire che Cooper
è fuori dal suo tempo, rimasto giovane in un’epoca in cui la figlia ormai è circondata
dai propri cari, e che l’unica persona sua coeva e pure rimasta giovane come lui (anche se non è entrata nel
buco nero) è Amelia Brand, il destino di Cooper deve essere connesso a quello
di Amelia. In seguito, con calma, la stazione spaziale, che sta orbitando
intorno a Saturno, entrerà forse nel <i><span style="background: white; color: #222222;">wormhole</span></i><i>, </i>oppure potrebbe
vagare nel cosmo per millenni prima di approdare nel pianeta abitabile. Una
sequenza, definiamola sufficientemente naturalistica che contrasta con quella
precedente (la sequenza del tesseratto) molto, molto fantascientifica. Perché
Nolan ha deciso di concludere il film con una sequenza emotivamente forte, ma
piuttosto prevedibile? In tutto questo amore ha inteso sottolineare che
dobbiamo amare una persona del nostro tempo; al di là di ogni ragionamento
sullo spazio-tempo, sui buchi neri, sulle dimensioni, sulle brane e i bulk, il
percorso più sincero, emozionante, sensazionale consiste nel seguire la persona amata come accade in tanti film d’amore, come accade ad esempio nell’epilogo
di <i>Sabrina</i> di Billy Wilder quando sopraggiunge
Larry mentre Sabrina sta prendendo il sole sul ponte della nave. Lui ha già
scelto di seguirla in Europa, dopo aver lasciato i propri affari di milionario,
perché sa di amarla.</div>
</div>
Lucianohttp://www.blogger.com/profile/05281484351080932004noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5777122313236702198.post-57538173697496957492015-05-16T10:14:00.001+02:002015-05-16T10:14:25.385+02:00Interstellar (Christopher Nolan, 2014). 2/3 Oltre l’oroptero<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjt5OfWO8_fYp7qergtaWCRIg_ES49rsJ930DK9H1YN5a-Rnp0t_9IcvKACuK9TkzHQYRCd7ybXHkpOhED-Yuffxjip9svnGejjYXN0GzjPa20djT_592MyyywhbG18Bl4ZGQMxqtxy7ezq/s1600/Interstellar_tesseratto.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="233" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjt5OfWO8_fYp7qergtaWCRIg_ES49rsJ930DK9H1YN5a-Rnp0t_9IcvKACuK9TkzHQYRCd7ybXHkpOhED-Yuffxjip9svnGejjYXN0GzjPa20djT_592MyyywhbG18Bl4ZGQMxqtxy7ezq/s320/Interstellar_tesseratto.jpg" width="320" /></a></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Nelle zone fuori dall’area di Panum (1) gli oggetti vengono
visti come doppi. È una sensazione insopportabile e fastidiosa che si prova quando
si soffre di diplopia. La verosimiglianza in <i>Interstellar</i> subisce un lento e inesorabile processo di
sdoppiamento per cui da un lato le immagini
e dall’altro i personaggi sono visti da due punti di vista differenti che non
si allineano. Il fatto è che l’occhio tende comunque a contentarsi di ciò che
vede e il cervello, nel caso di diplopia, esclude presto un occhio per dare
unità all’immagine. Il film riesce a scombinare la stereoscopia come per
sottolineare che stiamo per addentrarci in una visione quadridimensionale. <i>Interstellar</i> è un film
quadridimensionale in cui si intravede il tentativo di metabolizzare lo
spazio-tempo. Se in <i>Inception</i> ci si
addentrava in un abisso di scatole cinesi, in <i>Interstellar</i> le scatole cinesi sono sempre lì, ma proiettate oltre
l’area di Panum. Per vederle e attraversarle bisogna imparare a disallineare lo
sguardo. Così i personaggi si moltiplicano grazie all’espediente del tempo che
scorre in un attimo solo per chi si è avvicinato ad un buco nero; pertanto <span style="color: #252525; mso-bidi-font-family: Arial; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;">Murphy interagisce con Cooper da tre
punti temporali differenti: bambina, adulta, vecchia. Questo sdoppiamento
risulta impossibile nella linearità temporale,
ma quando lo sguardo perde la propria centralità e si “sdoppia”
addirittura “triplica” seguendo direzioni differenti, si consolida nell’elaborazione
mentale quantistica. In questo modo l’emozione primaria (nel film si attribuisce
all’amore un’energia superiore a qualsiasi forza fisica) si concentra in un
unico messaggio. L’amore verso i propri cari è di tipo diverso a seconda del
grado di parentela: filiale e materno (<i>storge</i>),
senso di innamoramento per una persona di altro o stesso sesso (<i>eros</i>). Murphy è figlia e madre di Cooper
e persino moglie (anche se metaforicamente), tre donne in una che Cooper ha la
sfortuna di incontrare oltre le certezze della stereoscopia. Questo scompenso
visivo si amplifica quando Cooper, trovandosi nel tesseratto, ci riporta nell’incipit
di <i>Interstellar</i> per cui si trova
nello stesso punto in due età diverse della vita di Murphy (anche se non vede
Murphy adulta il montaggio alternato condiziona emotivamente l’osservazione del
rapporto Cooper-Murphy-Murphy adulta) . Nella sequenza si raggiunge il momento
di massima tensione drammatica<b><i> </i></b>quando Cooper “vede” sua figlia bambina e lo sguardo onnisciente
integra la visione della Murphy adulta restituendo la sensazione di un’unità
temporale composta da due epoche diverse. L’improvvisa agnizione, la raggiunta consapevolezza che
il fulcro, l’eroe, l’interprete principale è Murphy, colei destinata a salvare
il mondo, completa lo <i>Spannung</i>.
Vedere la figlia piccola e adulta significa provare il rimpianto di non averla vista
crescere e allo stesso tempo vuol dire osservare se stesso in biblioteca con
Murphy bambina e significa anche assaporare nell’attimo il piacere di
abbracciare una persona amata. Da tutto questo scaturisce la forte emozione di
una vita concentrata in un attimo, un <i>carpe
diem</i> nostalgico che forza il racconto per formare figure retoriche tipiche
della poesia. In questo caso il rapporto padre-figlia cresce di intensità
proprio perché si accosta nel sintagma una paradigmatica distante, troppo
compromessa dai capricci temporali. In altri termini: se le frasi “Cooper ama
sua figlia” o “Cooper ama sua madre” o “Cooper ama sua moglie” sono sintagmi e
se sostituisco “adora” ad “ama” tra adora ed ama intercorre un rapporto
paradigmatico, utilizzando la frase “Cooper ama Murphy” (chi è Murphy? Tua
moglie? Tua sorella? Tua madre?), nel contesto narrativo di <i>Interstellar</i>, poiché Murphy è tutto
questo, trascino la forza della paradigmatica direttamente nel sintagma
destabilizzando la “norma” (ciò le regole adottate in una lingua) allo scopo di
formare un linguaggio poetico. Altro
rapporto oltre l’area di Panum (mi si scusi se continuo a sfruttare l’ottica ma
nel caso del cinema potrebbe essere tollerabile) riguarda il confronto tra
Cooper e TARS, il robot compagno di avventure con cui condividere rischi, sprezzo
del pericolo e successo. In questo caso l’amicizia (amore come <i>philia</i>) non viene rappresentata come un
tre in uno (Murphy) ma con un incastro di sdoppiamenti ancora più complesso (i
robot tra l’altro sono due). Quando Cooper e TARS condividono il rischio di
lasciarsi catturare dal buco nero (non voglio addentrami nel desiderio umano di
rientrare nell’utero) sono come due eroi, due amici che si lanciano verso
l’ignoto e nell’epilogo si ritrovano seduti sotto il porticato della città
spaziale a brindare nel lieto fine del tramonto ricostruito. Comunque nell’ipercubo
TARS è fisicamente assente, non è accanto a lui per aiutarlo nel tentativo di
forzare l’elastica biblioteca che impedisce a Cooper di penetrare in una stanza
del passato. TARS è divenuto una voce fuori campo, forse un dio, forse la voce
narrante che inizia a interferire col racconto, comunicando direttamente con il
protagonista. O meglio, forse è la voce stessa dello spettatore che partecipa, consiglia,
incoraggia, incita l’eroe a non desistere, preso dall’emozione della storia,
dal desiderio di vedere il contatto tra Cooper e Cooper. Siamo in presenza di
due Cooper e di una semplice voce off: l’eco di un’amicizia che esiste, è
presente perché si ode, ma non è
visibile. Forse il fuori campo tenta di
penetrare nella dimensione plurima per affermarsi come dimensione fondamentale,
ossia quella dimensione che costruisce il film, riempie le ellissi, un
non-visto che la mente dello spettatore
collega con l’immaginazione al visto. Questo “sdoppiamento” è molto più
complesso in quanto esistono due robot, l’altro, CASE, rimane con Amelia
seguendola nel suo viaggio verso il terzo pianeta colonizzato, ed anche in
questo caso sarebbe interessante approfondire questo doppio-doppio, analizzare
il rapporto di questa doppia-coppia. Un altro aspetto è relativo all’amore di
Cooper per Amelia che sinceramente non mi sembra molto pregnante nel film,
anche perché non è possibile vedere (come accade in molto cinema di genere) un
uomo e una donna attraenti, ogni volta innamorarsi e magari fare anche sesso. Purtroppo
però sentiamo ogni volta il bisogno di un simile epilogo. Quando un bell’attore
bravo e buono incontra una bella attrice brava e bella preghiamo che Dio (il
regista, l’autore) decida di farli almeno fidanzare, almeno farli rifinire in
un letto. <i>Interstellar</i> per fortuna
non è un film banale. E l’amore tra i due è un altro pezzo di poesia, si
sviluppa quando non sembra ancora germogliato, in quella navetta penetrata nel </span><i><span style="background: white; color: #222222;">wormhole</span></i><span style="color: #252525; mso-bidi-font-family: Arial; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;"> dall’ingresso
sferico</span><span style="background: white; color: #222222; mso-bidi-font-style: italic;">,</span><span style="color: #252525; mso-bidi-font-family: Arial; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;"> nel momento
in cui la mano di un Cooper di un futuro anteriore prende/prenderà la mano di
Amelia. Stiamo assistendo allo sbocciare di un sentimento già fiorito, anzi già
consumato. Tra l’altro questo Cooper di un futuro anteriore precede (almeno
nello script) quel Cooper dell’epilogo in procinto di raggiungere una giovane
Amelia tutta sola sul pianeta di Edmunds in compagnia, come detto sopra, di
CASE. Siamo ben oltre l’area di Panum, qui i rapporti diventano compositi in
quanto assistiamo al tentativo di innestare con semplicità, utilizzando un programma
narrativo collaudato, un momento romantico (immaginare Cooper e Amelia che potrebbero
incontrarsi – ma il film fortunatamente non mostra niente del genere – con i
due robot sul pianeta, mi riporta a tanti incontri in Central Park di coppie a
passeggio con i loro cagnolini). Un film articolato, bello come un abito con
molte trame e sottotrame, colori e forme, e perfettamente allineato al corpo,
da indossare, guardare, toccare, odorare, meravigliandosi di come possa
adattarsi ad altri corpi. Non è possibile esaurire in un post la complessità
dei rapporti attanziali, la peculiarità del discorso, la forza e i rapporti tra
immagini e récit. Ci sono anche punti deboli e incongruenze (ma la poesia deve
avere una sua coerenza logica?). Tra questi ad esempio l’assenza di una Murphy
vecchia vista (anch’essa magari inserita nel montaggio alternato) dal
tesseratto. Sarebbe stato stupefacente vedere un Cooper al capezzale di una
figlia-madre, guardare una sequenza non
ancora mostrata; un simile montaggio avrebbe tolto forza al colpo di scena
finale (sapere che sua figlia è ancora viva in questo lontano futuro):
probabilmente un debito da saldare con la produzione sempre attenta ai dati del
botteghino.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="color: #252525; mso-bidi-font-family: Arial; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;"><br /></span></div>
<br />
<div class="MsoNormal">
<span style="font-size: 10.0pt; line-height: 115%;">1 Solitamente
l’immagine viene percepita come unica grazie a un procedimento che
permette di avere una visione binoculare singola qualunque sia la direzione
dello sguardo, le due prospettive percepite (una per ogni occhio) diventano una
sola tramite il processo della fusione. Si forma (ogni volta che fissiamo un
punto) una curva (oroptero) composta da tutti i punti dello spazio dove c’è
stata la fusione. Si ha la fusione anche in una ristretta zona che si trova
davanti e dietro l’oroptero, chiamata area di Panum. Non è mia intenzione
scrivere un post sulla stereoscopia ma semplicemente prendere spunto da questa
caratteristica della visione binoculare tridimensionale per comprendere meglio
alcuni aspetti del film che mi hanno incuriosito.<o:p></o:p></span></div>
</div>
Lucianohttp://www.blogger.com/profile/05281484351080932004noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5777122313236702198.post-81971586760754261022015-05-13T19:40:00.000+02:002015-05-13T19:40:06.407+02:00Pranzo alle otto (George Cukor, 1933). Gli oggetti, lo sfondo 3/3<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjHn-sgs6GcMW6ITYnuviz2SNlAKJhJIqf4TAxipjEhnoapuBcp647muiSBFm3zspuJI6lWTwmUd_nnfFu4UatTPHRduMK1PUG94N1WXdN42tWj0_rXlBqarNEjRmjCfrTn0CRGpnS0AqHs/s1600/Dinner-At-Eight-1933.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjHn-sgs6GcMW6ITYnuviz2SNlAKJhJIqf4TAxipjEhnoapuBcp647muiSBFm3zspuJI6lWTwmUd_nnfFu4UatTPHRduMK1PUG94N1WXdN42tWj0_rXlBqarNEjRmjCfrTn0CRGpnS0AqHs/s1600/Dinner-At-Eight-1933.jpg" /></a></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: 16.8pt; text-align: justify;">
L’azione si svolge sulla superficie e personaggi, oggetti,
eventi paiono galleggiare in una zona ristretta dove l’immagine è a fuoco
mentre la profondità di campo si perde in un magma indistinto, per cui la
distanza svanisce nello sfuocato e le cose si confondono , i dettagli
svaniscono, le persone perdono consistenza; la loro esistenza, fino a poco
prima fondamentale per il plot si esaurisce anche quando rimangono inquadrate
per un attimo, ma ormai inessenziali alla dinamica del racconto. I film della <i>sophisticated comedy</i> trascurano la
distanza, ciò che importa è focalizzare l’attenzione sulla superficie perché nel
profondo la nebbia esaurisce ogni possibilità di redenzione (il cinema non
affranca bensì sequestra). Questa perdita della nitidezza colpisce soprattutto
gli oggetti, che devono pur rimanere in scena, mentre i personaggi o spariscono
dietro una porta del fondale o escono fuori campo dalle quinte laterali. Nel
film ovviamente, quando la scena cambia, gli attori si trovano all'istante nel
fuori campo (come quando escono di scena nella stessa sequenza) ma rimangono
sempre presenti nella mente dello spettatore. Sono ancora reali perché la loro
immagine permane nella mente e agiscono, parlano, vivono oltre il nostro controllo.
Il fuori campo rimane pur sempre parte essenziale della nostra vita e non ci
stupiamo se il cinema riprende questa caratteristica dello sguardo. Sappiamo
che Larry vive senza sosta il suo dramma anche quando la mdp riprende Carlotta
che sgrida il suo cagnolino per la pipì liberata nel corridoio dello stesso
albergo dove alloggiano Larry e Paola. Ma osservare i tendaggi, i tavoli, i
modellini delle imbarcazioni, i quadri posizionati in uno sfondo evanescente e
difficile da decifrare (che l’occhio non riuscirà mai a rendere nitido come nel
mondo reale), senza nemmeno simulare uno sguardo naturale (nel senso che quando
osservo un paesaggio gli oggetti a me vicini sono sfuocati), destabilizza il
cosiddetto naturalismo del film. Gli oggetti in particolare si avvicinano alla
superficie per l’uso che ne viene fatto: un telefono, una spazzola, una
cornice. Quando invece sono abbandonati a se stessi, e la mdp si allontana,
ecco che si squagliano, si assottigliano svanendo nell’indistinguibile. Senza
la profondità di campo la recitazione diviene «[…] frammentata nei piani e
contropiani», mentre i dialoghi devono rispettare «l’unicità dei campi sonori»
(1). Eppure questa “frammentazione”, oltre a rimodulare la recitazione (i movimenti
continui dei personaggi con i raccordi degli sguardi) e i movimenti di
macchina, soffermandosi sul dettaglio, ingrandisce a avvicina gli oggetti alla
superficie come in una macrofotografia dove tutto il residuo è fuori fuoco. Questo
contrasto tra oggetto nitido e ingrandito nel particolare e oggetto relegato
nel magma dello sfuocato accentua la distanza dal naturalismo relegando il
mondo a una immaginaria verosimiglianza che riflette l’arte e il pensiero del
regista. Il cinema prende il sopravvento sul mondo determinando definitivamente
una sua precisa e ineccepibile realtà, un suo mondo, con le sue regole e i suoi
stilemi. Il mondo della pellicola è un altro mondo strutturato in modo da
amplificare la verosimiglianza nel trascinare lo spettatore all’interno. Pertanto
gli attori prendono il sopravvento sul personaggio; non è Larry Renault che
osserviamo in scena ma Jonh Barrymore e così la grande attrice non è Carlotta
Vance ma Marie Dressler . Lo <i>star system</i>
si perfeziona e comincia il suo periodo migliore. Al cinema andiamo per veder
recitare in <i>Pranzo alle otto</i> la bellissima Jean Harlow e l’affascinante Magde Evans di cui conosciamo
già vita, morte e miracoli. <span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 11.5pt; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;"><o:p></o:p></span></div>
<br />
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt;">
<span style="font-size: 10.0pt;">1. Edoardo Bruno, <i>Pranzo alle otto</i>, il Saggiatore, Milano 1994, pag. 60</span></div>
</div>
Lucianohttp://www.blogger.com/profile/05281484351080932004noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5777122313236702198.post-65906073802135100702015-05-11T09:28:00.001+02:002015-05-11T09:31:35.460+02:00Pranzo alle otto (George Cukor, 1933). Il set, lo spazio 2/3<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjmNczrMke3QTYVq55M9rLsMrHkQHX-i-InLVPL7NSDElYpUDzlwL36pTox3b0hfgxAun89kprxIC5HFETkV25Jgajew0SmqufXA4hBG2L-jehZkFCPP0G5Fu_UOFVXSX-LOaY4eYzN4FoZ/s1600/Dinner+at+Eight.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjmNczrMke3QTYVq55M9rLsMrHkQHX-i-InLVPL7NSDElYpUDzlwL36pTox3b0hfgxAun89kprxIC5HFETkV25Jgajew0SmqufXA4hBG2L-jehZkFCPP0G5Fu_UOFVXSX-LOaY4eYzN4FoZ/s1600/Dinner+at+Eight.jpg" /></a></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify;">
Come gli artisti
portano con sé il proprio personale modo di recitare lasciando emergere
l’attore di teatro dal personaggio, provocando uno straniamento che toglie ogni
illusione alla presunta trasparenza della <i>sophisticated
comedy</i>, allo stesso modo lo spazio non è uno spazio naturalistico. A prima
vista l’interazione tra i personaggi sembra priva di ogni opacità e lo
spettatore può benissimo lasciarsi coinvolgere dai loro racconti; gli sguardi
si raccordano sempre per dare un senso compiuto all’azione, i movimenti sulla
scena, se pur teatrali, si lasciano seguire con naturalezza. Eppure lo spazio
lascia subito emergere il set. Che sia
l’ufficio di Oliver Jordan o il salone dove Milli Jordan organizza il suo
pranzo telefonando o la stanza d’albergo dove si consuma il dramma di Larry
Renault, il set emerge allo scoperto divenendo il “[…] vero protagonista della
messa in scena, il rifugio degli sguardi nascosti, il motore delle situazioni
perturbanti”. La sequenza Larry-Paola viene introdotta da una delle tante
telefonate di Milli Jordan che ha pensato a lui per sostituire un ospite impossibilitato
a partecipare. Dall’introduzione che ne viene fatta sembra un grande attore
(anche se la cugina di Milli afferma che le sue quotazioni sono “in ribasso”). Mentre risponde al telefono
Larry è davanti alla finestra, poi una breve panoramica orizzontale verso
destra mostra Paola che subito lo raggiunge (ovviamente la mdp ritorna a
inquadrare i due davanti alla finestra). Finita la telefonata i due si spostano
a sinistra fino al centro della stanza (si vedono adesso due finestre e un
divano sulla destra). Si muovono ancora fermandosi davanti al divano. Larry
prende una bottiglia per versare del whisky in un bicchiere, ma è vuota, poi si
sdraia sul divano e immediatamente Paola gli è sopra. I due si baciano (il film
è dell’era pre-Codice Hays). Suona il campanello. Si alzano e mentre Paola si
rimette una scarpa Larry va ad aprire la porta a un fattorino che gli consegna
una bottiglia di liquore. Larry chiede il resto al fattorino. Il fattorino lo
tratta con sufficienza e gli risponde andandosene che ha cambiato negozio dove
il liquore costa mezzo dollaro di più. Larry ritorna davanti al divano, si
versa il contenuto in un bicchiere, rientra Paola che lo vede, non vuole che
beva, lui le dice di pensare ai propri affari. Larry è nervoso perché attende
il suo agente e deve “decidere sul
lavoro e tante altre cose”. Paola vorrebbe rivelare che sono amanti.
Larry invece cerca di convincerla a lasciar perdere perché non è l’uomo adatto
per lei. Si spostano davanti al camino. Lui le dice che non è ancora finito e
Paola risponde che il suo ragionamento non c’entra col loro amore. Larry
racconta delle sue ex mogli delle quali una è divenuta una grande attrice, mentre
Paola si sposta su un altro divano (davanti al precedente) e rimane di spalle.
Nel frattempo vediamo Larry con un braccio sulla mensola del camino sulla
parete di destra. Primo piano di Larry. Primo piano di Paola. Sempre Paola di
spalle seduta sul divano,Larry prende la bottiglia da un tavolino messo tra i due
divani e si versa del liquore, si siede sul divano di fronte a Paola. Piano medio
di Larry sul divano. Primo piano di Paola che poi si alza e va di lato a Larry senza sedersi. Piano
Americano: Larry seduto sul divano e Paola in piedi che lo guarda. Gli dice: ti
amo. Larry di rimando: “Tu sei giovane, fresca e io sono uno straccio”. Lei
vuole rivelare a mamma e papà il loro amore ma Larry non vuole, si alza dal
divano mentre suona il campanello. Entra l’agente di Larry, Paola esce.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify;">
La prima
parte della sequenza introduce un uomo che sembra avere tutto: successo e una
giovane donna che lo ama, ma subito dalle parole si comincia a intuire che a
Larry le cose vanno male: si illude di essere ancora in auge pur sapendo di
trovarsi sul viale del tramonto. Ogni frase pronunciata non fa che rimarcare il
suo fallimento; sembra parlare a Paola della grande distanza di età che c’è tra
i due, ma in realtà le dice continuamente di essere un fallito e di non amarla
perché innamorato soltanto del successo.
Non può continuare a vivere così. Anche le sequenze seguenti nella stanza d’albergo (il colloquio con il
fattorino prima, col produttore poi e infine col direttore d’albergo)
accompagnano Larry nella caduta, ribadiscono e amplificano ciò che è spiegato
sin dalla prima sequenza: Larry è un uomo che non ha più futuro. Lo spazio è claustrofobico,la mdp si muove
sempre tra divani, finestre e porta d’ingresso. La stanza d’albergo diviene
metafora della prigione in cui s’è esiliato Larry e la forza di questa
pressione sull’osservatore non viene meno nonostante l’amore dichiarato di
Paola. La sequenza di Paola e Larry non è una sequenza d’amore, ma la perfetta
realizzazione della presa di coscienza di uomo che si rende conto di essere
arrivato al capolinea, incapace ormai, preso dal vizio (alcolismo) e dall’amaro
ricordo di un passato glorioso (è stato un grande attore), di capire cosa
significhi l’amore (del resto anche Paola si consolerà presto nella sequenza
dell’epilogo mentre i convitati si recano in sala da pranzo). Lo stesso vale
per il luogo di lavoro di Oliver Jordan: lo spazio anche qui è un ufficio
anonimo (si vedono alcuni modellini di navi ad indicare la compagnia di
trasporti posseduta da Jordan) un ambiente che “racconta” già il fallimento
incombente della società di trasporti. Stessa cosa si potrebbe dire per la
camera da letto di Kitty, che oltre ad indicare il vizio e la lussuria,
rappresenta la vita noiosa e pigra di una mantenuta. Lo spazio in <i>Pranzo alle otto</i> è soprattutto uno
spazio psicologico atto a sottolineare le debolezze e i drammi del personaggio
che lo abita. E non si può fuggire da questa marcatura fisica; nel film i
prodotti dello spazio sono i personaggi, l’attante in questo caso si afferma
come una fusione di personaggio-spazio, e poiché gli attori mettono in mostra la
propria arte, recitando se stessi invece di interpretare eroi, lo spazio non è altri
che la prosopopea di questa recitazione, un attante completo di programma
narrativo al pari degli altri, ossia il palcoscenico teatrale. </div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt;">
<br /></div>
<br />
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt;">
<span style="font-size: 10.0pt;"> 1.
Edoardo Bruno, <i>Pranzo alle otto</i>, il
Saggiatore, Milano 1994, pag. 19</span></div>
</div>
Lucianohttp://www.blogger.com/profile/05281484351080932004noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5777122313236702198.post-91014444369724296872015-05-08T20:37:00.000+02:002015-05-18T10:43:07.034+02:00Interstellar (Christopher Nolan, 2014). 1/3 Equazioni e tesseratti<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhqnDAGioZV4ui2fwX8XiKqKiepNeK6WwLIkF-iFy_MgruDHycHf-VLDpwM-GiijoL6wdtD-Q-FJn1W0B4Or0R-W4cLxeVqfYeL9HnMRM2chj2ALKGCZ8g7AZhOXiesB-AU50fbs2BM_91v/s1600/interstellar_1s.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="213" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhqnDAGioZV4ui2fwX8XiKqKiepNeK6WwLIkF-iFy_MgruDHycHf-VLDpwM-GiijoL6wdtD-Q-FJn1W0B4Or0R-W4cLxeVqfYeL9HnMRM2chj2ALKGCZ8g7AZhOXiesB-AU50fbs2BM_91v/s320/interstellar_1s.jpg" width="320" /></a></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Un tesseratto a quattro dimensioni, forse sempre lì,
dall’inizio del tempo, o meglio, dell’assenza di tempo, dove immergersi è come cadere in un grande cavo elastico che
mostra ciò che vuoi vedere, perché nell’ipercubo il dentro è fuori e viceversa.
Come in <i>Flatlandia</i> (1) gli abitanti delle due dimensioni non possono
concepire il cubo (e ogni altro solido), se non smontato in sei quadrati
giacenti sul piano, così negli universi tridimensionali non è possibile
concepire un tesseratto se non dispiegato nella rete degli otto cubi. Non dico
niente di nuovo nel citare la stupenda opera di Salvator D’Alì, quel <i>Corpus hypercubus</i>, un ipercubo
dispiegato nel 3D in otto cubi, simile a una croce posta dietro il Cristo
crocifisso che enuncia la corrispondenza, fin troppo evidente, tra l’impossibilità
per la mente umana di comprendere la struttura di un oggetto quadridimensionale
e l’incapacità di intuire lo spazio trascendentale
di Dio. Pertanto per analogia, giacché siamo seduti in sala a vedere comunque
un film, non è possibile comprendere servendoci di una logica prosastica o,
peggio ancora, scientifica. Ovvio che le incongruenze (anche se Nolan ha
cercato di legare il più possibile la fantascienza alla fisica teorica) fanno
parte del gioco anche perché personalmente non ho mai creduto che un film
(anche quello più fedele, anche un documentario o una ripresa di una telecamera
portata per la strada in giro per il mondo a riprendere la folla dei
boulevards) mostri la realtà: figuriamoci se sia possibile abbinare fedelmente un
film a una teoria scientifica – e dovrebbe essere sufficiente il fatto che nel
cadere in un buco nero forse qualcosa al
nostro corpo potrebbe capitare. Ma <i>Interstellar
</i>è solo un’opera cinematografica e pure di ottima qualità, un lavoro che
punta a “scombinare” le sequenze giocando con la circolarità degli eventi,
nell’affermare il principio e la fine come intimamente legati. Quando Cooper ,
dall’interno (esterno) dell’ipercubo, vede se stesso nella biblioteca insieme a
sua figlia Murphy (ma non avrebbe dovuto vedere dall’universo 5D anche gli
organi interni della figlia e di se stesso?), guardando l’interno dall’esterno
(o viceversa), non fa altro che porre in atto una serie di tentativi per
comunicare con i viventi dell’Universo 4D
allo scopo di completare l’equazione . Non è possibile infatti per noi
comprendere lo sviluppo di un cubo nelle cinque dimensioni (spazio-tempo), ma è
possibile filtrare questa esperienza tramite un medium. Il film permette, e in
particolare <i>Interstellar</i> per
l’estrema incisività della propria funzione poetica, di farci intuire
l’incomprensibile, mostrarci la proiezione nello spazio tempo di un tesseratto,
rendere intelligibile un concetto astratto, dispiegando l’ipersolido nel <i>Corpus hypercubus</i>, nella rete degli otto
cubi mesi a croce. In questo caso la narrazione si alimenta con una selezione
operata sulla base dell’equivalenza, una
scelta fra varie infinite inquadrature che possano succedersi per equivalenza:
quindi inquadrature connesse da un certa
similarità o difformità, sinonimia o antinomia. Si opera una scelta per cui
il principio dell’equivalenza agisce sull’asse della selezione. Inoltre la
funzione poetica proietta il principio dell’equivalenza dall’asse della
selezione all’asse della combinazione (2). Come nella poesia in <i>Interstellar</i> (almeno in alcune sequenze)
ogni immagine, inquadratura o sequenza è
rapportata a tutte le altre immagini o sequenze o inquadrature non solo del
film ma anche del nostro immaginario (l’intero nostro mondo di conoscenze,
aspettative, proiezioni che ci contraddistinguono).
Come nella poesia si parte dall’equazione per costruire la successione e non viceversa
(3). In altri termini, non sono le sequenze a formare un logos logico e
coerente (o supposto tale secondo la logica dominante in una certa cultura di
un certo periodo storico), ossia: orbito intorno a un buco nero e passano
vent’anni (verifico che è possibile perché i fisici dimostrano, dicono che…),
entro in un buco nero e non mi sbriciolo perché è immenso e Stephen Hawking sostiene
che l’orizzonte degli eventi di un buco nero potrebbe essere apparente e allora...
Al contrario, è il discorso (quando si fa poetico) a formulare la successione
(ossia il discorso quando si fa poetico costruisce inquadrature e sequenze e le
assembla per reiterare ritmi,
significati polisemici, emozioni anche contraddittorie). La funzione poetica
regola e struttura il risultato come metro e impalcatura di eventi; e non
viceversa. Pertanto nel proporre un’osservazione
su piani che non rientrano esplicitamente nella specificità dell’arte si
rischia di ridurre la ricchezza culturale e poetica di un’opera alla stregua di
un qualsiasi evento cronachistico, o trattato o asciutto articolo scientifico
da rivista di alto impact factor sì, ma incapace di trasmettere emozioni.</div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br />
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt;">
<span style="font-size: 10.0pt;">1. Edwin Abbott Abbott, <i>Flatlandia,
Racconto fantastico a più dimensioni </i>(1884)<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt;">
<span style="font-size: 10.0pt;">2. cfr. Roman Jakobson, <i>Saggi di linguistica generale<o:p></o:p></i></span></div>
<span style="font-size: 10pt;">3. Roman Jakobson, </span><i style="font-size: 10pt;">Saggi di linguistica
generale</i><span style="font-size: 10pt;">, Feltrinelli, Milano 2002 p. 192</span><br />
<span style="font-size: 10pt;"><br /></span>
<span style="font-size: 10pt;"><span style="color: #333333; font-size: 14pt;">●</span><span style="color: #333333; font-size: 14pt;">●</span></span></div>
</div>
Lucianohttp://www.blogger.com/profile/05281484351080932004noreply@blogger.com0